“Io sono qui!” indaga il tema della comunicazione, attraverso le infrastrutture
materiali e
immateriali: “io e il mondo” nella realtà digitale. La banda larga, che permette di trasmettere una grande quantità di dati in tempi rapidi, diventa fattore essenziale di crescita economica, culturale e sociale. L’innovazione tecnologica delle infrastrutture materiali cosi come le informazioni e i dati trasmessi attraverso la banda larga migliorano l’efficienza operativa delle imprese e di tutti i settori della nostra società: Sicurezza, Sanità, Giustizia, sistema Finanziario, Pubbliche Amministrazioni che, con la digitalizzazione dei servizi, rendono sempre più efficiente il sistema a beneficio della collettività.
La mostra pone l’accento anche sulla necessità attuale di avere coscienza del luogo da cui il soggetto dialoga con il mondo più che perdersi in esso, cercando di affermare soltanto la sua esistenza a colpi di “post”. Le sette installazioni, poste a introduzione del progetto, ricordano immediatamente allo spettatore che il suo grande potere di essere ovunque grazie alle “App” dello smartphone non può essere dissociato dalla presa di coscienza dei contesti fisici e contestuali in cui agisce. Tutto questo cerca di far riflettere su cosa stia alla base del cambiamento attuale che ha portato a identificare recentemente nella piramide dei bisogni dell’essere umano delle nuove priorità. Mentre storicamente al primo posto era riconosciuta la ricerca di cibo, oggi al secondo posto esiste ed è comparsa – dopo ampie campagne d’indagine – la connessione wireless. Quello che sorprende di più però è che al primo posto si trovi la necessità del carica batteria.
Gli artisti
Le opere esposte nella mostra “Io sono qui!” fanno riflettere sull’importanza della comunicazione materiale e digitale con un’attenzione rivolta al luogo fisico da cui è affrontata tale fruizione e sul possibile movente che va al di là del semplice “voyeurismo conoscitivo”. Questa è la caratteristica principale dei vari processi creativi esposti in mostra, che ha portato alla scelta del titolo “Io sono qui!”. Suddetta affermazione corrisponde alla presa di coscienza che l’osservatore deve operare sulla sua responsabilità nell’interagire con le informazioni per non rimanere vittima dell’ipotetico “sistema”, che esso stesso contribuisce ad alimentare. La mostra si articola in una sezione di istallazioni, introdotta dall’opera dell’artista di origine greca Antonis Pittas, che presenta due grandi mani in gomma poggiate sull’ingrandimento dell’ultimo modello dell’Iphone. Queste presenze ricordano che le mani sull’Iphone sono strumenti vuoti se non sono alimentati dal singolo soggetto con coscienza, aprendo una particolare riflessione sul tema dell’identità al tempo delle “fake news” e della impossibilità di storicizzare i fatti nell’attuale “presente espanso”. Tale prospettiva è esplorata anche dalle tre installazioni di Patrick Tuttofuoco che creano un vis-à-vis straniante tra ritratti in ceramica di volti dell’antichità romana e le immagini gassose stampate su PVC dei protagonisti di maggior rilievo del mondo dell’hi-tech; ma anche da Donna Huanca, la quale risponde a tutto ciò con nuove ritualità contemporanee evocate per mezzo di manichini/strumenti o di corpi/simulacri al centro di un lago di sabbia bianca. Allo stesso tempo, altre opere come quella di Mario Airò – una linea di orizzonte formata da fotografie di paesaggi attraversati e caratterizzati da proiezioni al laser – riflettono sul rapporto tra paesaggio mentale e fisico, tra spazio attraversato e progettato. Lo stesso approccio ha portato Ulla Von Brandeburg a presentare la sua nuova video installazione sul tema del superamento del limite intimo-collettivo rappresentato da una tenda sipario, che continua a svanire e a ripresentarsi in un loop infinito. Inoltre, se Ahmet Ögüt mette in evidenza le strategie contemporanee per indagare il tema dell’appartenenza con la video installazione legata al movimento di protesta pacifica Occupy Wall Street, nato nel 2011, Runo Lagomarsino analizza l’eredità del colonialismo e delle politiche culturali legate alla creazione di nuovi paradisi e vecchi poteri per mezzo della dia-proiezione presentata nella edizione del 2015 della Biennale di Venezia. La seconda sezione vede, invece, artisti di differenti generazioni confrontarsi con il tema dell’oggetto d’arte e su cosa può trasformare uno strumento di conoscenza e comunicazione in un’opera d’arte, come le opere di Rebecca Moccia, Matteo Negri, Yorgos Stamkopoulos. Citiamo poi il cubo nero che contiene cellulari con lo schermo occultato da pittura nera e aghi di pino di Chicco Margaroli, con cui ricorda che il vero divario tecnico nasce storicamente da chi poteva accedere alla luce elettrica, mentre le stampe di Paolo Parisi fanno riflettere su come il processo di riproduzione dei libri sia stata la grande rivoluzione della società dal 1700 in poi, creando una nuova particolare interrelazione tra testo e immagine. O ancora le opere di Giulio Rigoni ci portano a pensare al significato di comunità e a quello di città ideale; la maestosa opera di Paola Romano ci fa riflettere, in generale, sulle condizioni del nostro pianeta, cosi come la wunderkammer di Giuliana Cunéaz che mette in relazione la realtà virtuale (videoinstallazione in 3D) con quella fisica (sculture in miniatura modellate in argilla bianca dal tono madreperlaceo) attraverso un dialogo sinergico teso a indagare il cuore profondo e misterioso della materia. Il lavoro di Vincenzo Marsiglia, invece, crea un dispositivo ipnotico – specchi, griglie geometriche e un Ipad – con cui induce a ragionare sulla tradizione della pittura cinetica e sul nuovo modo di pensare alla finestra digitale. Savini & Vanio ci porta a soffermarci sul rapporto tra individuo e globalizzazione. Maria Thereza Alves, utilizzando la storia delle piante autoctone di Roma, fa riflettere sul concetto di estraneo da punti di vista differenti. Le influenze di internet sono indagate dal video di Kamen Stoyanov che esplora le differenze e similitudini di percezione del viaggio al tempo di Google Maps. Le poliedriche combinazioni dell’opera di Camilla Ancilotto invitano lo spettatore a un’interazione creativa. Il concetto di reti immateriali e materiali è rappresentato attraverso una inedita struttura fisica di acciaio e resina di Marianna Masciolini, che permette allo spettatore di attraversarla fisicamente, passando e connettendo proprio le due sezioni della mostra dal titolo “Io sono qui!”.
Libro-catalogo
Il progetto prevede la realizzazione di un libro-catalogo con i contributi dei relatori del convegno-tavola rotonda. Naturalmente l’arte avrà un peso particolarmente significativo in quanto all’interno del volume saranno utilizzate le immagini delle opere degli artisti presenti.
M’AMA.ART
Il format ormai consolidato di M’AMA.ART è quello di proporre mostre di arte contemporanea per coinvolgere l’opinione pubblica sui diritti di ultima generazione, come il diritto alle energie rinnovabili; il diritto alla sicurezza alimentare; il diritto al dialogo interculturale. Con quest’obiettivo l’avv. Alessia Montani, fondatrice di M’AMA.ART, ha promosso nel passato mostre come: “Trasparenze. L’arte per le energie rinnovabili”, ospitata dal Museo MACRO di Roma e dal Museo MADRE di Napoli, sul tema della tutela ambientale. “M.eating”, sul diritto al cibo, presentata durante la Biennale di Istanbul (Museo Chamane) e successivamente alla biennale di Dakar; nonché “Red Dangerous” realizzata presso “Casa delle Letterature” di Roma, sul rapporto tra individuo e società.