La mostra di Alessandro Valeri è l’ultima tappa di un viaggio iniziato dall’artista nel 2011 a Tzippori (Sepphoris in greco antico) in Galilea, vicino a Nazareth.
E’ lì che, all’interno di un moshav ebraico in una zona del paese prevalentemente abitata da arabi musulmani, un piccolissimo gruppo di suore dell’Ordine delle Figlie di Sant’Anna gestisce, con operatori cristiani, ebrei e musulmani, un orfanotrofio che accoglie bambini senza alcuna distinzione di etnia o religione.
Alessandro Valeri vuole aiutare, vuole dare il suo contributo, mettendo a disposizione la sua creatività, la sua arte, il suo impegno. Torna laggiù varie volte, in un crescendo di interesse e di attenzione per quell’oasi di affetti e lavoro. Attiva amici, conoscenti, scatta fotografie, registra suoni, fa riprese video, disegna con e per i bambini. Nasce SEPPHORIS, un progetto per sostenere le attività di un luogo speciale per la diversità culturale e religiosa che rappresenta.
Il primo importante risultato lo raggiunge nel 2015 con la mostra ALESSANDRO VALERI SEPPHORIS curata da Raffaele Gavarro e ospitata al Molino Stucky per la 56. Esposizione Internazionale d'Arte di Venezia, come evento collaterale. In mostra, in una suggestiva installazione campeggiano le grandi tele delle foto di Tzippori, sulle quali l’artista interviene con segni e colori. Opere che Valeri ha donato alla casa d’accoglienza, impegnandosi direttamente nella vendita e il cui ricavato è servito ad acquistare beni di prima necessità per l’orfanotrofio.
Il secondo traguardo è il libro SEPPHORIS che narra il progetto attraverso testi ma soprattutto immagini. Con l’intento di raccogliere ancora fondi, l’artista da due fotografie ha realizzato una serie di 100 esemplari numerati, di 50 x 63 cm.
Il progetto approda a Roma, negli spazi di MACRO Testaccio, La Pelanda - Foyer 1, con la mostra lasciami entrare, dove attraverso una nuova dimensione narrativa la presenza dei bambini di Tzippori si fa via via più evidente e il loro mondo, fatto di sogni e speranze troppo spesso disilluse, viene raccontato in un percorso visivo dove fotografia e pittura sono immerse in un’opera di sound-design. Migliaia di matite spezzate segneranno il cammino, che culminerà in un’installazione sospesa, un vecchio banco di scuola posizionato nel vuoto per evocare il diritto all’istruzione, spesso negato. Ma non tutto è perduto: la felicità si misura davanti ad una macchina per lo zucchero filato.
La mostra, curata da Micol Veller Fornasa, prevede anche gli interventi critici di Barbara Martuscello e Jonathan Turner.